Il conflitto militare esploso in Ucraina non potrà che complicare e peggiorare lo scenario complesso che le imprese italiane vivono da circa un anno, da quando il costo delle materie prime ha conosciuto una serie esponenziale di rincari. Ben prima che la crisi tra Ucraina e Russia precipitasse in conflitto armato, Confapi, la Confederazione nazionale delle piccole e medie industrie private, ha condotto un’indagine attraverso interviste mirate a un campione rappresentativo di imprese che aderiscono al proprio sistema. Dall’indagine è emerso, sottolineato dalla quasi totalità delle imprese, l’emergenza legata alle fonti energetiche e alle materie prime. L’82,6%delle imprese intervistate lamenta, infatti, un aumento considerevole nell’ultimo anno dei costi delle materie prime che sta impattando negativamente sull’attività aziendale. Mentre il 6496 registra problemi di approvvigionamento a cui si somma un notevole aumento dei costi di trasporto (per il 4096 delle aziende).
Acciaio e non solo
«Ovviamente il conflitto peggiorerà la situazione – afferma Maurizio Casasco, presidente di Confapi – avevamo lanciato l’allarme sulle materie prime più di un anno fa. L’Europa, con l’approvazione di un piano triennale di quote (e conseguenti dazi al superamento delle quote) ha preso una decisione penalizzante. Abbiamo stigmatizzato subito la scelta e invitato il governo a intervenire per scongiurare questo scenario. Oggi, per esempio, il costo dell’acciaio per le nostre imprese ha raggiunto livelli proibitivi. Bisogna invertire la rotta al più presto: sollevando i massimali delle quote oppure eliminando del tutto le soglie che fanno scattare i dazi. Questo scenario porterà la Cina (che non ha problemi di approvvigionamento di materie prime) a essere molto più competitiva su tutti i mercati con i prodotti finiti. Finora noi abbiamo retto la concorrenza perché i cinesi riuscivano a essere convenienti sui semilavorati ma, se non si attuano opportune politiche di contrasto ai rincari, la competizione internazionale sarà molto più complicata e difficile da governare».
Dallo studio si evince anche che il 3096 del campione ha subito gravi danni a causa della pandemia tanto da dover rivedere i piani aziendali, riprogrammare gli obiettivi e mettere in campo strumenti di flessibilità organizzativa. Viceversa, il 4396 degli imprenditori ha ritenuto gestibile l’impatto pandemico sull’attività aziendale, limitandosi ad apportare solo modeste variazioni al l’organizzazione interna. C’è anche una percentuale minima di aziende (9%) che non ha risentito affatto de gli effetti della pandemia.
La crisi post pandemica è accresciuta dall’aumento dei costi del l’energia (anche questo, purtroppo destinato a crescere a causa del conflitto russo-ucraino). A dimostrazione della capacità di adattamento delle PMI alle nuove sfide energetiche, il 43.48% delle imprese interpellate da Confapi sta facendo convergere gli investimenti verso una maggiore sostenibilità ambientale, confermando una spiccata sensibilità verso strumenti e azioni che valorizzano le «ricchezze» dell’ambiente nel rispetto e nella tutela del territorio in cui l’azienda stessa opera. Il rutto insieme agli investi menti per convertire la produzione verso le energie rinnovabili. «Lo sforo che stiamo sostenendo per aumentare l’utilizzo delle energie rinnovabili da solo non potrà bastare -avverte Casasco -. Le nostre imprese dipendono principalmente dai costi proibitivi dell’energia: servono subito contratti più lunghi che ci mettano al riparo di ulteriori rialzi. Abbiamo bisogno di aumentare la nostra capacità produttiva, ma il costo dell’energia potrebbe essere un freno molto pericoloso».
I correttivi
Prima che si materializzassero con forza queste emergenze, lo scenario era sostanzialmente positivo. I piccoli imprenditori intervistati erano ottimisti, il 39 per cento prevedeva infatti business in crescita nei prossimi 12 mesi, il 21% vedeva affari stabili e solo il 16% pensava negativo.
Il governo, però, ha da poco varato il credito d’imposta o degli oneri di sistema per alleggerire la bolletta. Una mossa sufficiente? «Lo ha fatto – annuisce il presidente di Confapi – ma a vantaggio delle grandi imprese. Il governo deve fare scelte oculate e non trascurare le piccole imprese: il credito d’imposta deve essere applicato in base alla percentuale del costo dell’energia sul fatturato. In questo modo si sostengono anche i piccoli, se invece gli aiuti vengono riservati solo a chi consuma di più, si tagliano fuori le Pmi. Sarebbe una beffa dannosa per tutti: gli aiuti di Stato devono tener conto della taglia delle imprese e tarare le manovre sulla base di criteri oggettivi e non solo per dimensioni».